Informazioni personali

venerdì 29 aprile 2011

Ma la noia è una malattia?



Qualche giorno fa alcuni studenti minorenni incensurati sono entrati di notte in un asilo del bolognese e hanno rubato gli snack destinati alla merenda dei bimbi dell'asilo. La giustificazione che hanno fornito ai carabinieri è stata "ci stavamo annoiando".

Quante volte abbiamo provato quel misto di agitazione, frustrazione, attesa, in un tempo che non passa mai, sperando che arrivi qualcosa che ci faccia sentire più soddisfatti? La noia può davvero essere il motore di comportamenti illegali?

I fattori coinvolti in questo processo sono almeno tre: uno fisiologico, uno psicologico, e uno sociale.

Secondo la teoria neurofisiologica, ci sono persone che, più di altre, hanno bisogno di entrare in contatto con situazioni stimolanti (sport estremi, comportamenti a rischio, film horror, cibo piccante, ecc.) per mantenere un livello di eccitazione elettrica e chimica necessaria al loro benessere. Per questa categoria di individui viene percepito come noioso qualcosa che, per la maggior parte delle persone, può essere visto semplicemente come rilassante.

Gli aspetti psicologici portano l'attenzione sul senso di vuoto e di mancanza. In questo caso alla base della noia, c'è l'incapacità di trattenere le esperienze, anche dopo che queste sono terminate. La percezione di un ambiente povero di stimoli altro non è che un'eco del vuoto interiore. Tanto più il vuoto è grande, tanto più la persona sente il bisogno di tenerlo distante facendo di tutto per evitarlo.

Dal punto di vista sociale è importante sottolineare come lo sviluppo scientifico e tecnologico degli ultimi vent'anni abbia accelerato in modo esponenziale la disponibilità e la frequenza di stimoli. Altrettanto non si può dire per i meccanismi psico-biologici umani. Le modalità di assimilazione e di integrazione dell'esperienza viene governata da sistemi simili a quelli utilizzati dai nostri bisnonni. Un aumento di stimoli porta, quindi, ad un'elaborazione rapida e superficiale, andando nella direzione opposta al bisogno di coinvolgimento profondo, vero antidoto alla noia.

Se è vero che le motivazioni che stanno dietro al bisogno di non annoiarsi sono così profonde, le soluzioni devono essere altrettanto radicali. In particolare può essere utile cercare stimoli socialmente adeguati (sport, film, cibo, letteratura) che compensino il bisogno di attivazione. E' importante vivere l'esperienza fino in fondo, senza passare subito ad altro (il cervello ha bisogno di tempo per accendersi completamente). Inoltre è vantaggioso forzarsi un po' e arrivare a sperimentare che alla frustrazione si può sopravvivere, senza dover necessariamente colmare il vuoto con qualcosa d'altro. Aumentare la finestra di tolleranza fa sentire meglio, più forti e consapevoli.

venerdì 8 aprile 2011

Canta che ti passa

All’esplorazione della cantoterapia La cura dell’anima (letteralmente dall’etimologia di psico-terapia) non dev’essere necessariamente associata a lunghi percorsi introspettivi di dolore e sofferenza. Anche il piacere cura. Anzi, cosa meglio di ciò che ci fa star bene è da considerarsi un balsamo miracoloso sulle ferite dell’anima?

Il canto, la possibilità di una persona di produrre musica, è uno dei potenti rimedi che abbiamo sotto mano.

Da sempre cantare, da soli o in gruppo, è stato importante per entrare in contatto con le proprie emozioni. un mezzo per contattare il soprannaturale ad esempio invocando le forze della natura, un modo per esprimere gioia, o dolore, per ritrovare un’armonia perduta, per caricarsi energeticamente, o per rilassarsi. La laringe (per posizione anatomica e per funzione) rappresenta la porta d’accesso fra il dentro e il fuori, determinando quanto (di aria ed emozioni) può entrare ed uscire. Se c’è un inceppo emozionale la laringe può diventare testimone di blocchi e rigidità. Il canto permette di migliorare il flusso, liberando le emozioni intrappolate. Attraverso l’espressione vocale si ricerca la sintonizzazione con se stessi e con gli altri restituendo potere all’espressione individuale al riparo da sovrastrutture di pensiero.

Cantare è già un buon lavoro di per sé, ma c’è qualcosa di altro ancora che si può fare: migliorare la consapevolezza della relazione che lega emozioni e gesto vocale. Ad esempio si può individuare il rapporto fra il timbro e lo stato d’animo e scoprire che si influenzano reciprocamente. Il nostro umore influenza il nostro modo di cantare, ma anche un cambiamento nel modo di cantare influenza il nostro umore. Quindi se vediamo tutto storto, cambiamo canzone, o almeno, cambiamo modo di cantarla. Provare per credere!

E. Biavati – E. Ghetti Meeting della Biosistemica a Riccione 21-22 maggio 2011

– workshop esperienziale: GIOCHI DI VOCE-Limiti e risorse del gesto vocale